Siamo nel 1927 e Agatha ritorna a parlare di spionaggio, o meglio, di complotti internazionali, coinvolgendo questa volta Poirot ed Hastings, che ritorna dall’Argentina e trasforma un viaggio di pochi mesi in una permanenza di quasi un anno. L’avventura infatti è lunghissima, porta i nostri eroi in giro per l’Europa e comprende un numero considerevole di omicidi ed enigmi che Poirot risolve lungo la tortuosa strada che ha intrapreso per incastrare i fantomatici Quattro, ovvero quattro geni del crimine che agiscono nell’anonimato e nell’ombra per distruggere l’umanità.
Ammetto di essere stata scettica all’inizio, ho già detto che lo spionaggio e l’intrigo politico non mi divertono, eppure la storia arriva ad un punto tale di trovate e colpi di scena, soprattutto nella seconda parte, che sono stata colpita ancora una volta dalla consueta “voglia di vedere come andrà a finire”.
Hastings è sempre più maturo e coraggioso, meno invidioso e avventato, e Poirot si dimostra agile e creativo nella lotta contro questi temibili nemici che fanno di tutto per non essere scoperti, soprattutto omicidi laboriosi ed inganni di vario tipo. Troviamo poi delle invenzioni inaspettate degne delle migliori storie di James Bond, e per questo il romanzo possiede una sorta di “alone premonitore” che lo rende ancora più intrigante. C’è infine una trovata del nostro piccolo belga che mi è piaciuta da morire, ma non la posso raccontare altrimenti svelerei troppo, quindi consiglio di leggerlo e resistere perché la storia oggettivamente inizia a girare dalla metà, dopo aver superato quell’idea dei racconti uniti in una sottotrama, allora ci si troverà coinvolti in una lettura intrigante che vale la pena finire.
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