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Pancake, dolce ossessione


Io avevo solo voglia di pancake. E’ una delle mie piccole ossessioni.

Lo so, mi direte che ho molte ossessioni che riguardano il cibo, ma questa è particolarmente invasiva. Potrei mangiarne dieci impilati uno sopra l’altro con lo sciroppo d’acero, possibilmente canadese.

A Roma sono pochissimi i posti dove li fanno e di solito difficilmente raggiungibili, per questo forse li considero un desiderio sempre frustrato.

Immaginate la mia gioia quando ho visto che avevano aperto una pasticceria americana vicino casa mia. Una pasticceria che mi ammiccava con dolcetti farciti con creme colorate, che mi sorrideva con la promessa di brunch domenicali, che mi illudeva con la possibilità di fare una scorpacciata di pancake e di rendere questo orrido gennaio un po’ più sopportabile.

Invece niente. Un’altra illusione infranta che si aggiunge al fiume di delusioni della mia vita. Tutto si  è svolto la scorsa domenica, quando ero riuscita a coinvolgere un’amica con l’inganno e a portarla, con la scusa di una colazione tardiva, in questa pasticceria. Arrivo debitamente preparata, ovvero totalmente digiuna, neanche dovessi fare le analisi del sangue.

Non avevo semplicemente fame, ero l’equivalente di uno stormo di cavallette pronte ad assaltare un povero campo di grano. Arrivo quindi puntualissima, accompagnata dalla mia fame atavica, e mi apposto davanti alla vetrina.

Sbircio dentro e vedo già metà sala occupata, ma ho fiducia di riuscire a prendere un tavolo. Passano cinque minuti, entrano almeno sei persone, io cammino avanti e indietro e cerco di non guardare dentro perché mi viene ansia di non potermi sedere. Passano altri cinque minuti e valuto se entrare e iniziare a mangiare, l’appetito si è trasformato in una carogna e io so che quando sto così divento ancora più animale del solito.

La mia amica si salva sul filo di lana, proprio mentre sto per entrare, appare dal nulla ed esibisce le buste della spesa come scusa per il ritardo, io manco la bacio pure se non la vedo da venti giorni, ma lo faccio per lei, avrei potuto darle un morso.

Entriamo per cercare un tavolo che scopro non esserci. I tavoli vuoti, infatti, sono stati prenotati e l’unico spazio è su un bancone che guarda al muro. Sospiro, grugnisco, e ci sediamo nel posto sfigato. Inizio a studiare il menù, che sembra accettabile, anche perché i pancake sono i primi della lista, quindi non ci sono dubbi.

Certo mangerei altre tre o quattro cose, ma decido di iniziare in modo prudente, vedi mai che faccio il bis. La mia amica opta per i più sobri french toast, quindi ci sentiamo pronte per ordinare. Ma anche qui la cosa non sembra semplice, la cameriera di muove come una mosca impazzita tra i tavolini saltandoci sistematicamente, guardando il soffitto ogni volta che cerco di intercettarne lo sguardo, tanto da prendere l’ordinazione di un tavolo arrivato dopo di noi. In condizioni normali mi sarei alzata e me ne sarei andata, ma ero troppo debole, dovevo mangiare qualcosa prima di svenire. Alla fine ci vede, io chiedo i miei pancake e lei mi blocca subito: “ Mi dispiace, ma sono le 12 e un quarto, non facciamo più la colazione”.

Io rimango un attimo interdetta, credo di non aver capito bene. “Scusi,” dico cercando di sembrare calma “ma fate il brunch?”, e lei: “Si, certo” e io “Ma il brunch è una colazione tardiva e i pancake fanno parte della colazione di solito.”

Lei si mette il blocchetto davanti alla faccia, forse il mio tono non è stato mite come volevo, e dice, sempre fissando il blocchetto: “La cucina mi ha detto che dalle 12 non si fanno più i piatti del breakfast e i pancake sono nel breakfast. Non posso farci niente”.

Ma io sono venuta per i pancake…” mi scappa con un filo di voce. E lei alza le spalle. Nessuna pietà, è evidente.

A questo punto ho avuto un episodio dissociativo, ho visto davanti a me due scene di seguito in cui la prima era la carogna che avevo in me che prendeva il sopravvento e le infilava il menù plastificato in colori pastello in bocca, la seconda era la persona normale che semplicemente ordinava qualche altra cosa. La cameriera si è salvata perché non ero sola e girandomi verso la mia amica ho incrociato i suoi occhioni verdi che mi guardavano con aria interrogativa.

Siamo finite a mangiare due uova al tegamino buttate su un panino durissimo con una manciata di verdurine ai ferri tristissime. E mentre cerco di tagliare quel panino il mio occhio cade su quelli arrivati dopo di me che però avevano ordinato circa tre minuti prima di me: e loro stavano mangiando i pancake! Allora ditelo che ce l’avete con me! Ditelo che se ho un desiderio non lo volete esaudire!

Ho diligentemente mangiato tutto, del resto il mio stomaco era vuoto come una caverna ed esigeva di essere riempito in qualche modo. Ma il mio spirito non era soddisfatto, ho quindi guardato la mia amica che, con la pazienza di Giobbe, aveva capito perfettamente il mio dramma interiore e non aveva fatto un fiato tutto il tempo, ed ho decretato la sentenza: “Qui mai più.”

Io avevo solo voglia di pancake e invece mangerò un maritozzo con la panna di Romoli.

p.s. non c’è la foto dei pancake perché, come avrete notato, non li ho mangiati.

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