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L’inaspettato di Gustave Caillebotte


Caillebotte, Les raboteurs de parquets 1875

I posatori del parquet rappresentano un piccolo momento di scandalo nella pittura della fine dell’Ottocento creato da Gustave Caillebotte. In un immaginario visivo dove lo spazio per le classi più povere è dato ai contadini, alle lavandaie, a coloro che lavorano fuori dalla città, un quadro dedicato a degli operai che invece realizzano il pavimento in parquet di una bella casa Parigina rappresenta una sorta di caduta nel cattivo gusto.

Eppure è un quadro bellissimo, che ruota appunto intorno al gusto del pittore per le immagini che non hanno niente a che vedere con intenti di carattere sociale, ma con il piacere di una composizione simmetrica, pulita, luminosa e realistica.

Le righe del legno lavorato, che costruiscono la fuga dello sguardo e la prospettiva, sintetizzano un modo di soffermarsi sulla bellezza che si può trovare anche in una scena apparentemente banale.

Gli operai sono chini sul lavoro, il caldo è suggerito dal torso nudo e la fatica dai visi girati che raschiano i pavimenti per prepararli alla nuova posa. Un lavoro faticoso e di precisione, come mostra l’operaio intento a valutare il livellamento del pavimento, dove gli uomini sono tutti uguali, mori e senza tratti che li distinguano, con i muscoli delle braccia in evidenza per la tensione dello sforzo.

La porzione del legno ancora non lavorato li divide in due gruppi e permette di far risaltare le righe che modulano l’immagine mentre la finestra sullo sfondo, oltre a far entrare la luce che batte sulle schiene nude, suggerisce i tetti che si possono ammirare da un appartamento con la vista in centro.

Questi sono i fatti del quotidiano che rappresenta, ma in realtà quello che vede l’artista è la simmetria della parte che si scontra con la linearità del pavimento, il gioco di pieni e vuoti, la durezza delle linee geometriche dell’ambiente che lotta con la mobile e rotonda morbidezza della pelle degli uomini.

E’ quindi evidente che il realismo di Caillebotte non riflette sul tema politico dell’operaio sfruttato nella casa dei ricchi, ma racconta la storia degli oggetti che si muovono con noi e intorno a noi formando immagini impreviste e inaspettate.

La stanza che guardiamo ci restituisce una sorta di “sapore del bello”, quella sensazione che rende cose semplici e scontate fuori dal comune e uniche, ci permette di fissare lo sguardo su un momento, coglierlo assaporandone l’insieme di perfezione e imperfezione e trovare così in quell’istante un senso che lo giustifichi rendendolo bellissimo.

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