Uno degli esponenti più importanti del movimento Futurista, pittore, ma anche teorico del movimento, Gerardo Dottori, dipinge nel 1926, nel pieno della sua maturità artistica, una città che brucia.
Il fuoco al centro del quartiere divora un edifico monumentale, forse una chiesa, e le case, seguendo il movimento concentrico della loro costruzione, come fosse partito dal cuore dell’abitato, mentre una luce notturna fatta di blu e viola e di ombre verdi sui palazzi, rende i colori caldi delle fiamme, fatte di giallo, di arancione e di rosso, ancora più violenti e vitali.
La geometria semplifica delle forme dialoga felicemente con i colori che la compongono, ed insieme chiarisce il messaggio: una visione pienamente futurista dove movimento, scontro, rapidità ed energia sono i soggetti principali della rappresentazione.
Una scena drammatica, in cui apparentemente sembrano mancare gli abitanti. In questa veduta aerea dell’incendio, infatti, non si vedono persone o vittime, ma solo le case animate da alcune finestre illuminate. E questo perché l’artista non vuole distruggere l’uomo, ma proporne un rinnovamento. Le case, simbolo primordiale del rifugio e la città intesa come comunità legata a dogmi e certezze statiche, vengono distrutte dal fuoco purificatore delle nuove teorie futuriste perché quello che sembrava fermo e immutabile può cambiare, può trasformarsi e rinascere dalla cenere.
Ecco quindi che il disastro rappresentato racchiude una sorta di esaltante inno catartico alla rigenerazione che si scontra con la drammatica rassegnazione del passato. Le fiamme avvolgono le case come a liberarle, a trasformarle da statica pietra a vento caldo e vorticoso, fatto di spirali ampie e rosse.
Gerardo Dottori trova un modo drammatico per ribadire il concetto che guida tutta la pittura del suo movimento: solo affrontando con coraggio e dinamismo la distruzione del passato si potrà costruire un futuro nuovo e inaspettato.
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