Karl Spitzweg è un simpatico pittore tedesco dell’Ottocento che diventa farmacista per volere del padre ma abbandona la professione per intraprendere la carriera di pittore-illustratore.
Il nostro artista realizza circa 1500 opere nella sua vita, seguendo uno stile romantico che si esprime non solo nei colori pastosi e brillanti, ma soprattutto nella scelta di scene inusuali al limite della caricatura umoristica, come il quadro in questione, che ritrae un poeta male in arnese nell’intimità della sua casa e del suo lavoro.
Il pover’uomo, in senso solo materiale, badate bene, si ripara con un ombrello dalla pioggia che filtra dal soffitto dello squallido sottotetto dove vive. Sdraiato su un vecchio materasso è circondato dai simboli della sua vita misera: catini e bottiglie vuoti, stracci, una sola marsina attaccata al muro, ma intorno ha anche pile di libri, disposti intorno a lui quasi a tenerlo caldo al posto della coperta consumata con cui si copre le ginocchia.
E’ concentrato, non a scrivere ma a rileggere ciò che ha scritto, come testimonia la penna d’oca in bocca ed il gesto declamatorio della mano alzata verso l’alto.
Un uomo che ha solo la sua poesia nella vita, vi si concentra ardentemente nonostante sia proprio la poesia la fonte della sua miseria perché non gli dà il necessario per vivere dignitosamente. Perché fare poesia non era considerato un lavoro “vero” neanche allora.
Eppure il poeta è incastrato nella sua passione, non vede un altro modo di vivere, non pensa di saper fare altro che scrivere.
Sergio Corazzini, in Italia, qualche decennio dopo questo quadro datato 1839, scriveva una poesia che si intitola “Desolazione del povero poeta sentimentale” che inizia così: Perché tu mi dici: poeta? / Io non sono un poeta. / Io non sono che un piccolo fanciullo che piange. / Vedi: non ha che le lagrime da offrire al Silenzio. Qui Cozzini scrive la storia di un uomo che non vuole essere un poeta ma che non riesce a fare a meno di sentirsi tale, che vive la poesia con una concentrazione emotiva che rende tutto il resto inutile, superfluo, al limite del doloroso.
Confrontando questi versi con il quadro, vediamo invece che il poeta di Spitzweg, grazie forse anche a quella finestra che fa entrare la luce e l’aria nella composizione altrimenti ancora più triste, vive questa condizione di ristrettezze economiche con uno spirito più positivo.
Quello sguardo assorto, la penna quasi masticata, il gesto che lo aiuta a concentrarsi, rappresentano insieme la speranza del successo, del riconoscimento che porterà al riscatto della sofferenza che patisce e del sacrificio che fa per seguire quello che è convinto sia il suo destino.
Entrambi i poeti sono quindi convinti di qualcosa, il primo che non ci sia speranza di sfuggire al dolore e che il ruolo della poesia sia ricordalo, il secondo che invece la speranza ci sia e che proprio grazie alla poesia si può sopravvivere.
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