![carte in tavola](https://static.wixstatic.com/media/145a39_1d7ea1e65e8d444c843604e5e2c6cbfd~mv2.jpg/v1/fill/w_313,h_480,al_c,q_80,enc_auto/145a39_1d7ea1e65e8d444c843604e5e2c6cbfd~mv2.jpg)
Su questo libro ho un giudizio molto sintetico: se non sapete giocare a bridge non leggetelo perché non capirete niente.
Forse Agatha avrebbe dovuto scriverlo nella premessa, nonostante l’idea di base sia carina: quattro investigatori a vario titolo, tra cui Poirot, il sovrintendente Battle e una scrittrice di gialli, Ariadne Oliver, sono invitati a cena da un eccentrico signore insieme a quattro persone egli ritiene essere degli assassini che l’hanno fatta franca. Naturalmente il gioco del padrone di casa sarà troppo pericoloso e uno dei componenti di quella che lui definiva “una collezione” decide di toglierlo di mezzo e farlo tacere per sempre durante la classica partita di bridge postprandiale.
I quattro investigatori quindi si trovano ad indagare su quattro persone con lo stesso movente ma con caratteri diversi. E proprio il carattere sarà la firma che determina l’omicidio in guazzabuglio di interrogatori sulla partita a carte, ricerche nel passato dei protagonisti, teorie e metodi differenti tra i quattro detective.
Se quindi l’idea di base funziona, ovvero mettere al centro la modalità del delitto per individuarne l’artefice attraverso un’analisi del suo modo di ragionare e di comportarsi, usare il bridge come punto di riferimento diventa cervellotico e stancante per una persona che, come me, arriva alla conoscenza del sette e mezzo.
Quindi ripeto il consiglio che ho dato all’inizio, se volete affrontare questo libro dedicatevi prima ad una lettura almeno veloce delle regole, altrimenti lasciate stare e andate oltre, tanto i libri non mancano!
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