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Alla deriva (1948)


E’ un libro strano, con un fondo di tristezza raro nelle storie di Agatha, per alcuni versi mi ha ricordato “La Domatrice”, perché leggiamo di quell’amarezza che nasce dal vedere come le persone vengano influenzate negativamente dalle avversità della vita e vadano appunto “alla deriva”.

E’ ambientato in un’Inghilterra post-bellica in cui la popolazione soffre quasi di più che durante la guerra, mentre la fame è ancora reale e le classi medie non riescono a riprendersi dalla crisi economica. Una famiglia che ha sempre contato sulla generosità di un ricco zio si trova all’improvviso diseredata da una giovane vedova manipolata dal fratello e di colpo il limite tra bene e male si confonde. In un susseguirsi di morti dai moventi confusi Poirot si presenta solo come deus ex machina della storia, mentre la famiglia, che contiene tutti i rappresentati della borghesia di campagna inglese, dal medico all’avvocato al contadino, mostra la debolezza del carattere e insieme l’ipocrisia di una società che non riesce a ripartire.

E’ un romanzo difficile, sia per la trama poco lineare che per la scelta dei contenuti, in certi punti affollato di personaggi e sottotrame, che poi si risolve con la bella spiegazione di Poirot, che aggiusta le “lenti degli occhiali” del lettore e gli permette finalmente di mettere a fuoco l’insieme.

Da leggere se non si è depressi e se ci piacciono i finali non scontati.

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