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Rinaldo e Armida di Ettore De Maria Bergler


Ettore De Maria Bergler

La seduzione femminile che si riassume in un gioco, l’uomo che è un “pupo”, un burattino, nella mani della sua amata, una fanciulla semplice e per questo bellissima, che lo abbraccia in modo spensierato.

O forse no.

Ettore De Maria Bergler, nel 1912, fonde insieme le citazione della “Gerusalemme Liberata” di Torquato Tasso e della tradizione siciliana del teatro fatto attraverso le marionette con un messaggio ironico e disincantato sull’amore.

Sul fondo le tende, che richiamano appunto l’accampamento degli eroi letterari, affiancate da un gruppo di altri attori, con teste e corpi tagliati e persi, ma di cui si intravedono i costumi e la postura rivolta verso la scena, in una sorta di posa d’attesa, che forse non si doveva interpretare.

In primo piano i protagonisti dove, a ben guardare, Armida non si limita a giocare, mentre compie un largo movimento delle braccia che calibra la visione d’insieme, guarda il piccolo eroe che ha tra le mani e di cui governa i gesti in con uno sguardo intenso e rapito, forse anche innamorato.

Rinaldo la asseconda nella sua posa scomposta e morbidamente abbandonata sul suo corpo, racchiudendo la tenerezza che si ritrova nelle azioni sentimentali, ovvero l’eroe, che dovrebbe essere forte, grande, possente, qui diventa un oggetto da bambini, eppure completo della sua armatura luccicante, dei suoi intenti nobili e assoluti, che lo rendono comunque eroe, al di là delle forme che assume.

Così la scena, fatta  da gesti fluidi, a loro volta realizzati con un colore pastoso e dalle tinte che si svolgono nei propri contrasti di chiari e di scuri con precisione e pulizia, si inverte e forse non è più la ragazza a tirare i fili del burattino, ma è lui, conquistandola, che le fa credere di dargli il controllo del movimento, che è vita e speranza.

Rinaldo e Armida rappresentano uno degli aspetti più semplici dell’amore, quando diventa un gioco muto in cui si conquista e si è conquistati, dove la volontà dell’uno si muove insieme a quella dell’altra ed ognuno crede di “tirare i fili” o di lasciarsi tirare a seconda dei momenti vissuti insieme.

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