In questi tempi così difficili, dove tutti sono scontenti, dove l’uomo non sa più chi è e soprattutto non sa chi è l’altro, ricordare che il problema dell’identità c’è sempre stato forse non è così scontato.
Il Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo, nel centro di Roma dedica, con un gioco di parole che mi piace sempre, una “mostra ai mostri dell’antichità” con pezzi derivanti principalmente dalle proprie collezioni. La linea guida è l’analisi di alcuni miti classici, che hanno come protagonisti appunto creature fantastiche, mostruose, espressione del tema dell’altro, del diverso e quindi delle paure ma anche degli interrogativi sulle diverse componenti che rendono un uomo tale.
Medusa, con i suoi capelli da serpente e lo sguardo che pietrifica, il Minotauro, che mangia fanciulli e rappresenta il frutto di una passione perversa, la Sfinge, che mette insieme l’uomo, l’aquila ed il leone per rappresentare la risposta agli enigmi dell’esistenza, affiancati da esseri più rassicuranti come i satiri o il cavallo alato Pegaso, si svolgono in un allestimento che vorrebbe essere un labirinto, chiuso, scuro e un po’ claustrofobico.
L’idea è bella, i pezzi anche, ma l’impressione generale è che si sia voluto arrivare fino ad un certo punto e poi ci si sia fermati.
Partiamo dal catalogo, quello che resterà del progetto culturale una volta che sarà smantellato e sostituito da qualche altra idea. Bella copertina, all’interno della quale troveremo un insieme di saggi, un piccolo dizionario, in mezzo, le opere, inserite con una certa incoerenza, perse tra le considerazioni critiche, assorbite dal valore del simbolo prima che da quello dell’oggetto.
Un catalogo quindi che alla fine dice cose che possiamo leggere su Wikipedia e ci fa pensare che forse è stato scritto prima di decidere quello che effettivamente verrà esposto, visto che le schede singole, il vero nucleo scientifico di ogni catalogo che si rispetti, non ci sono. E questo perché segue una linea che purtroppo si sta affermando anche in altre mostre, ovvero i curatori preferiscono tralasciare il valore scientifico che dovrebbe avere la pubblicazione, per prediligere un taglio a loro avviso divulgativo, senza riuscire poi a fare nessuna delle due cose.
Passiamo all’allestimento: onesto, senza grosse invenzioni, però equilibrato e corrispondente all’idea che voleva rappresentare: un labirinto visto come una scatola chiusa e buia dove incontrare queste figure misteriose e fantastiche. Alcuni punti dell’illuminazione discutibili, ma c’è sempre di peggio in giro.
I pezzi: alcuni bellissimi, altri interessanti, in generale espressione dell’alta qualità del nostro patrimonio artistico, e proprio per questo se avessero avuto più spazio nel catalogo avrebbero riacquistato una dignità soggettiva che si meritano tutta.
Anche perché, come anticipato, essendo una mostra che utilizza principalmente pezzi del museo, troviamo soprattutto arte classica. L’arte classica emotivamente a volte può risultare meno immediata, forse addirittura monotona, quindi inquadrare cosa si vede potrebbe essere più difficile per chi non ha dimestichezza con questo tipo di periodo storico.
Mentre mi aggiravo in questo spazio di velluto blu scuro ripensavo al rosso vivo della mostra “Monsters” realizzata al Kunsthistorisches Museum di Vienna qualche anno fa. Ci sono partita dall’Italia per andarla a vedere. L’idea è simile, esporre pezzi del museo che ruotano intorno al tema iconografico del mostro. Aveva un terzo dei pezzi dell’esposizione romana, un allestimento rosso sangue, in cui però ritroviamo l’idea dell’estraniamento e dell’isolamento della scatola, e delle luci favolose. Il fatto che abbia usato l’aggettivo favoloso vi dà un’idea di quanto mi sia piaciuta, anche se il numero esiguo dei pezzi mi ha lasciato un po’ di languore.
Qui invece mi ha rammaricato l’aria annoiata del servizio di biglietteria mentre gli chiedi un’informazione, che non è neanche sicura di saperti dare, le ditate sulle vetrine, ma non fuori, dentro, la tappezzeria applicata male e sporca, le luci in molte posizioni sbagliate. Tutti difetti che sono comuni a quasi la totalità delle esposizioni degli ultimi tempi.
Ma dopo queste critiche, che vorrebbero essere un’espressione di spocchioso intellettualismo e un invito a riflettere quando si va a vedere un’esposizione che è frutto del lavoro di tanta gente e per questo è giusto che sia giudicato e capito, se vi piacciono i mostri, come avrete intuito piacciono a me, comunque vi consiglio di andarla a vedere, avete tempo fino al primo giugno, quindi affrettatevi!
Per vederla
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