Se vi capita di passare per il centro di Roma, e precisamente a piazza Fontanella Borghese, dopo aver ammirato una delle piazze e una delle facciate più belle e barocche della città, compite un atto ardito e attraversate l’ingresso per poi superare il cortile interno di Palazzo Borghese e ritrovarvi nel piccolo ninfeo incantato su cui si affaccia la Galleria del Cembalo.
Qui, nelle sale affrescate nella seconda metà del Settecento che hanno sempre ospitato le collezioni d’arte della famiglia, la galleria ospita mostre prevalentemente di fotografia di artisti interessanti e bravissimi.
Uno di questi è appunto Luca Campigotto, classe 1962, che presenta fino al 27 giugno 2015 le sue immagini dedicate al confronto tra paesaggi urbanizzati e natura.
Luca Campigotto si definisce “determinato ad inseguire la meraviglia” ed in queste immagini ammetto che ci riesce benissimo. L’insieme della mostra è un incontro-scontro tra immagini forti e compiute, che dialogano proprio nella propria intrinseca dicotomia.
Dai vicoli notturni di New York alle lande desolate dell’Iran, passando per i rifugi della prima guerra mondiale nella Mormolada, pietre, ghiaccio, sabbia che si scontrano con cemento, vetro, auto, mentre luci artificiali urtano contro luci naturali.
Le composizioni sono calibrate e pulite nell’infinito corredo di particolari che le compongono, lo sguardo si perde nelle pieghe delle rocce come nelle luci delle finestre o lungo le linee delle architetture. Le immagini notturne restituiscono la quiete accesa del sonno e lo scatto sembra realizzato proprio nel momento del respiro in cui si butta fuori l’aria, quello prima di riprendere fiato.
L’occhio del fotografo non cerca mai l’umanità, anzi, sembra bramare quel momento di calma mentale che può regalare solo la solitudine mentre si scontrano i silenzi immensi della montagna con i rumori scontati della metropoli.
Ed ecco perché vale la pena andare a vedere questa mostra: per ritrovare un momento di quiete e goderselo in quelle immagini dove Campigotto ci dimostra che è possibile fermarsi a guardare, che è possibile non essere sopraffatti dalla quantità delle informazioni che a volte sembrano travolgerci ma anzi, ponendosi come davanti ad una brezza che ci viene incontro, accoglierli e farci aiutare perdendosi in essi per ritrovare così, nella meraviglia, l’unità della nostra anima.
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