top of page

La natura che si spezza, It is not ’600 di Andrea Cicala Pozzuoli


Come si può interpretare nel XXI secolo il genere della “natura morta”, ovvero un’immagine che rappresenta oggetti inanimati e che contiene insieme la metafora della caducità della quotidianità e della ricerca del vero? Andrea Cicala Pozzuoli lo fa inserendo nella fissità di una scena classica un oggetto che non solo si spezza, ma esplode letteralmente, invadendo l’immagine con i suoi frammenti.

La serie di fotografie di Andrea Cicala Pozzuoli intitolata “It is not ’600” fa questo, rompe lo schema attraverso la rottura dell’immagine. Con una tecnica di ricostruzione paziente delle forme, il fotografo riproduce l’attimo che segue all’impatto, l’effetto di un’azione misteriosa che sconvolge una scena immobile e perfetta.

Su un tavolo di legno sono poggiati ortaggi, un drappo lavorato, frutta colorata e simbolica, oltre a una caraffa di vino che esplode riempendo tutto, compreso il fondo nero, con i suoi pezzi, bloccati in aria in una posa irruenta e scomposta fatta dal movimento del vetro che la fende in una nuvola di riflessi.

Andrea Cicala Pozzuoli non rappresenta solo un’immagine, ma una sensazione visiva, un momento di rumore che non possiamo sentire ma che percepiamo insieme alla vibrazione che produce. Gli occhi inseguono le diverse parti del vetro per vedere dove andranno a finire, le gocce del vino dove si poseranno, mentre lo sgomento per la sorpresa di un’azione inaspettata, di cui non conosciamo l’origine, viene sopraffatto dalla meraviglia della partecipazione al suo risultato.

La composizione che si trasforma, il momento del cambiamento ma soprattutto la sua potenza, sono le linee guida di questa immagine, che supera il sentimento della precarietà che guida la rappresentazione della “natura morta” del Seicento e diventa espressione del senso più puro della contemporaneità.

Perché l’azione è suo malgrado coinvolgente, vi si partecipa chiedendosi come andrà a finire anche se si sa che rimarrà congelata in quell’attimo, mentre non riusciamo a rassegnarci al fatto che le cose abbiano una fine.

La natura morta tradizionale ricordava costantemente che le cose non sono eterne se non nell’arte, i fiori, i frutti rappresentati nel momento in cui sono più succosi e dolci possono vivere così eternamente solo in un quadro e proprio guardare quel quadro doveva ricordarlo.

In un mondo come il nostro dove la vita si dilata ormai sempre più verso l’infinito, dove sembra che ci sia continuamente tempo per fare qualcosa, per rimediare a un errore, per ottenere un risultato, per vivere una nuova esperienza o semplicemente per chiedere scusa, scopriamo che la natura morta che invece ci rappresenta è fatta non solo di oggetti in movimento, ma soprattutto di oggetti fragili che si sono rotti un attimo prima.

Se nel Seicento la bellezza si sospende nella sua immagine completa, oggi la ritroviamo nell’immagine impietosa della sua distruzione. E’ un messaggio terribile e affascinante, che invita a riflettere più seriamente su quello che guida le nostre scelte, sui limiti che ormai siamo abituati a superare ogni giorno senza accorgercene, su quanto ci siamo spinti oltre.

Abbiamo bisogno del rumore dove prima c’era il silenzio, dobbiamo vedere il risultato della distruzione per capirne il significato, forse perché non siamo più capaci di fermarci, o pensiamo di non esserlo.

Eppure possiamo sempre fermarci, basta solo imparare di nuovo a farlo.

Comments


bottom of page