Francesco Hayez è conosciuto da tutti per il suo dolcissimo quadro “Il bacio”, in cui il tema politico del militante risorgimentale che va a combattere si confonde con quello romantico dell’ultimo bacio di addio tra due innamorati.
Come ho detto, un quadro famosissimo e per questo sarebbe stato troppo facile parlarne, soprattutto un giorno prima di san Valentino, così ho scelto invece di raccontarvi un’altra storia, quella de “La Meditazione”, conosciuta anche come “L’Italia del 1848”.
L’intento è simile a quello de “Il Bacio”, ovvero parlare di politica dipingendone un’allegoria, ma se il primo racchiudeva la struggente speranza di vincere e tornare, qui il pittore si abbandona alla disperazione della sconfitta attraverso lo sguardo triste della personificazione dell’Italia, una giovane madre dal seno nudo pronto per i figli, gli italiani appunto.
I moti risorgimentali nel nostro immaginario ormai si perdono tra le pieghe delle guerre mondiali e degli scandali politici recenti, in una visione di “Patria” che per noi è scontata, ma che per tanti italiani non lo era affatto neanche duecento anni fa.
In un passato che ormai ci sembra lontanissimo, l’Italia non era unita, almeno sulla carta, ed un manipolo di idealisti pensava che invece sarebbe stato giusto non solo che lo fosse, ma che austriaci e francesi se ne tornassero al paese loro. Da qui una serie di battaglie sanguinose combattute da patrioti che si riassumono in quel più modesto insieme dei “moti risorgimentali”.
Seduta su una sedia di cuoio poggiata lungo un muro blu, la donna pallida e bruna esprime nello sguardo addolorato tutto il suo rammarico per la restaurazione asburgica nel Lombardo-Veneto. Personificazione di una nazione che non ha riconoscimento politico ma solo morale, stringe la croce del martirio rinascimentale che allude al suo lutto indicato con le date delle Cinque giornate di Milano (18.19.20.21.22 marzo 1848) mentre sul volume consumato su cui appoggia i polsi c’è scritto “Storia d’Italia”.
Hayez riprende un’immagine che già aveva dipinto, la Malinconia, e qui la trasforma, arricchendola di un significato nascosto che la fa rivivere con una luce nuova, quella del messaggio politico. L’incarnato pallido e delicato risalta grazie alla purezza del nero dei capelli, mentre lo sguardo infelice e fermo invita lo spettatore a condividere il dolore che prova il personaggio, per il quale non si prova compassione, ma una sorta di empatia.
La nostra Patria ci chiama in quello sguardo muto, ci invita a ricordare le persone che hanno dato la vita per affermare un diritto di libertà fatto per lei e per noi, e forse ci rimprovera quasi perché ormai abbiamo dimenticato il motivo per cui siamo diventati una nazione, abbiamo dimenticato il sangue che è costato farla, anche se Hayez ha provato a lasciare qualcosa che ci aiuti a ricordare.
Hayez infatti, nell’unico modo che poteva usare un artista, ovvero un quadro, ha lasciato un monito potente ed insieme asciutto per le future generazioni, un invito non alla battaglia, ma al ricordo e quindi al rispetto del dolore per quelli che la battaglia l’hanno persa.
Perché finché ci sarà qualcuno a ricordarli, i sacrifici non saranno mai inutili.
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