Una scultura impossibile, un blocco di marmo di quasi due metri scolpito, scavato, levigato, a prendere la forma di più di sessanta figure avvinghiate in una caduta vorticosa che le spinge dal Paradiso all’Inferno.
Posta al centro di una sala del museo di Palazzo Leoni Montanari a Vicenza, quest’opera sorprendente vede alla base Lucifero, che indica in quella confusione di membra, code, bocche spalancate e corpi senza appoggio il cielo negato e insieme Michele, il guerriero di Dio, posto proprio alla sommità di quello stesso cielo da cui caccia chi non lo merita più.
La meraviglia di questo gruppo scultoreo della metà del Settecento aumenta quando si scopre che la vita e il catalogo dell’autore sono poverissimi di informazioni. Si ritraccia l’origine padovana del Fasolato, si sa che lavora appunto nella metà del secolo, e si conosce il committente dell’opera in questione, il conte Marc’Antonio Trento, ma se abbia lasciato altri stupori come questo non è ancora dato sapere.
Così l’opera assume un valore quasi mistico, grazie all’insieme di tutti i suoi elementi: eccellenza tecnica, soggetto avvincente, presunta unicità. Altre parole diventano superflue.
Eppure il movimento concitato della battaglia nel momento, scontato, della sconfitta, potrebbe essere assorbito dalla percezione dell’eccezionalità della tecnica. Bisogna quindi fare uno sforzo di concentrazione quando si ammira l’insieme e ricondurre l’attenzione sul valore dei particolari che lo compongono.
Ecco quindi che ci ritroviamo ad analizzare il concetto di incanto e a scoprire che la sorpresa visiva è tale perché contiene tante informazioni da percepire tutte insieme: è questa moltitudine di sensazioni che quasi ci vuole sopraffare, come la valanga di angeli che cade dal cielo e nello stesso tempo si trasforma in demoni, che rappresenta l’essenza stessa di ogni sbalordimento nell’arte.
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