Arnold Böcklin realizza cinque versioni di questo quadro intitolato “l’Isola dei morti” in cui, di volta in volta, cambia i colori, aggiunge particolari al paesaggio, modifica la luce, ma mantiene sostanzialmente la composizione, fatta di una piccola imbarcazione che porta una figura bianca ed una bara presso un isolotto circondato da un tranquillo specchio d’acqua.
La fine di un viaggio silenzioso e solitario in cui l’approdo è un non-luogo accessibile solo dalla barca, in cui la natura ostile é domata dall’uomo che vi ha costruito un cancello e porte aperte nella roccia che ricordano i sepolcri classici.
Tutto fa pensare ad un cimitero mistico, nascosto all’uomo comune, fatto per ospitare le spoglie di persone eccezionali e costruito come una casa ultraterrena.
La volontà di creare una scena atemporale si percepisce dall’assenza di particolari definiti, dall’idealizzazione che nasce dalla mancanza di una connotazione precisa della luce, che non dà indicazioni del momento del giorno o della notte rappresentato, ma anche dei personaggi, di spalle e piccolissimi.
Anche le acque ferme, nella quali si specchia il cielo, che potrebbero essere di un lago come di un mare, contribuiscono a costruire una sensazione più che un’immagine.
La forza visiva si concentra sull’isolotto, solitario nella sua forma chiusa e spaccata in linee verticali dalla vegetazione e dalla mano dell’uomo, che ne modella la pietra secondo un’esigenza architettonica dal sapore classico.
Böcklin racconta nel suo quadro il silenzio della parola che non ha più significato nella conclusione di un percorso: quando non c’é null’altro da dire perché tutto il necessario è stato detto e fatto ma nello stesso tempo, grazie a quel cancello che si appresta all’imbarcazione, dipinge l’attimo del passaggio.
Perché l’eterno movimento dell’universo é fatto di questo, di passaggi infiniti e silenziosi, impossibili da evitare, che ci permettono di esistere sempre, anche se in forme differenti.
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