Il pugile a riposo è una scultura greca del IV secolo a.C. attribuita al famosissimo Lisippo e ritrovata a Roma nell’Ottocento, precisamente alle pendici del Quirinale.
Il pugile è rappresentato dopo l’incontro, quando stanco e sanguinante si siede per riprendere fiato o perché le gambe non gli reggono più tanto, ma lo scatto della testa, in opposizione con la posa rilassata delle braccia, indica che la tensione ancora non è andata via.
È una scultura dal movimento contrastante, dove il corpo muscoloso e sofferente ancora freme e nello stesso tempo è bloccato dall’intensità dello sforzo precedente. Il viso che reca i segni degli incontri passati risulta espressivo nonostante le orbite vuote mostrando quella sensazione di mancanza che si prova alla fine di una gara per cui ci si è preparati tanto e che magari non è andata come speravamo.
Ecco che la scultura racconta quindi la storia di una vita, la racconta nel corpo che rappresenta, che si porta addosso tutti i segni di quella scelta di combattere, di mettersi in gioco e cercare di vincere, contro qualcun altro ma prima di tutto contro se stessi.
Troviamo qui il momento dello sport che solitamente piace di meno, quello in cui arriva la stanchezza, o si fanno i conti con una sconfitta. Eppure il pugile alza ancora la testa, guarda ancora verso un richiamo, verso un altro incontro.
L’arte ha dato molto spazio allo sport, da sempre, perché è una componente dell’esistenza dell’uomo, e perché rappresenta dei valori universali che devono essere ricordati e condivisi, sempre.
Quando si parla di sport si parla di uguaglianza, di coraggio, di perseveranza, di onestà, di dedizione e impegno. Senza questi valori non si può praticare veramente alcuna disciplina né riceverne le soddisfazioni che vorremmo. E senza questi valori non si può vivere in una società civile dicendo di farne parte attiva.
Ma fare sport è anche fantasia, gioia, e perché no, bellezza, valori che molti credono, sbagliando, non debbano essere alla base della società civile e che invece ne sono le vere fondamenta.
Così la miopia di chi crede che basti essere “onesto” fa morire la bellezza delle cose e delle persone. Le Olimpiadi a Roma non si possono fare perché costano troppo. Siamo dei poracci. Le Olimpiadi in fondo che sono? Solo il punto più alto per uno sportivo, la possibilità di dimostrare di essere un’eccellenza e di confrontarsi con altre eccellenze. L’obiettivo di anni di lavoro, di impegno, di coraggio, di perseveranza e di onestà. Un momento in cui trovare degli eroi positivi che ispirino le vite degli altri trasmettendo qualcosa di buono.
Eppure non c’è spazio per quello che rappresentano le Olimpiadi in questa visione della cittadinanza che vuole gli autobus, le strade pulite, una casa per ogni povero. Sono solo un modo per RUBARE (e lo scrivo grande apposta perché non viene detto ad alta voce ma si fa capire di pensarlo).
Bene, se c’è qualcuno che ha rubato questa volta però purtroppo non è chi voleva fare le Olimpiadi, bensì è chi ha deciso che le Olimpiadi non si potevano fare, perché ha RUBATO I SOGNI di chi voleva gareggiare nel suo paese e dimostrare quanto era bravo proprio al suo paese, o di chi voleva vedere i migliori atleti del mondo, il loro esempio e la loro bellezza, con i propri occhi. Ma dimenticavo, anche questa idea dell’amor patrio ormai è diventata quasi illegale, ci fa un po’ schifo perché riusciamo a guardare solo il brutto e il marcio, ad indicarlo, ma mai a raccoglierlo e metterlo nel cestino.
Forse il vero problema di questa città non è chi ruba e delinque o chi sporca, il vero problema è chi non difende le idee e la bellezza, chi le considera futili e quasi controproducenti perché l’imperativo è DIMOSTRARE di essere onesti, anche se per farlo bisogna calpestare i sogni degli altri, magari onesti come loro.
In questa visione del mondo dove tutto ha un prezzo fanno finta di dimenticare, oppure non sanno proprio, una cosa che non vogliamo sentirci dire, ma che è la verità: la bellezza si paga, sempre. E quindi non giustificano che si debba spendere per averla.
Così lasciano sgretolare le cose buone ma non immediatamente “produttive”, per promettere di garantire un futuro migliore, dove “le cose funzionino”, non dicendo che anche queste saranno pagate, ma come e da chi non è ben chiaro.
Eppure io ho sempre speranza, la bellezza ora è come il pugile a riposo, seduta e dolorante, che non ce la fa a stare in piedi, ma è vigile, è pronta a rialzarsi e a rimettersi a combattere, di nuovo, per vincere.
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