6 maggio 1527: la data della fine del mondo per Roma. La data dell’inizio dell’assalto delle truppe imperiali e dei Lanzichenecchi, che travolsero le misere difese romane e violarono il sacro suolo pontificio, costringendo papa Clemente VII a rifugiarsi nell’unica vera, grande fortificazione romana: Castel Sant’Angelo e che è ricordata dai posteri come “Il sacco di Roma”.
Furono giorni tremendi ed irreali, dove ciò che sembrava fino a quel momento sacro e intoccabile veniva tranquillamente saccheggiato, depredato, profanato.
Il Papa stesso, si trovò a temere tanto per la sua vita da compiere il voto di non tagliarsi più la barba in cambio della salvezza. Questo voto è testimoniato dai due ritratti che Sebastiano del Piombo gli realizza, uno datato prima del 1527 ed uno dopo. Il secondo evidenzia l’invecchiamento dell’uomo dovuto non solo al tempo, ma alle avversità subite. Per salvarsi infatti Clemente VII non ha dovuto solo farsi crescere la barba, ma piegarsi a Carlo V, pagare un riscatto e incoronarlo imperatore.
Sebastiano così ci presenta lo stesso soggetto differenziato dalla crescita psicologica del personaggio nonostante restino invariati gli stilemi della sua composizione, le forme massicce, i colori cupi, la luce di un ambiente chiuso. Lo sguardo pensoso lontano dallo spettatore.
Questo Papa è stato protagonista di uno dei momenti più drammatici della storia del pontificato, ha superato, con qualche lesione, un momento difficilissimo solo dal punto di vista politico, ma anche umano, ha temuto realmente per la sua vita, lui che doveva essere un essere intoccabile e superiore agli altri.
Eppure non si è arreso, perché essere Papa vuol dire essere scelti per mandato divino, vuol dire che è Dio che decide della tua vita e che tu, per la fede che ti governa, ti lascerai guidare. Nella fede esiste la stanchezza, esiste lo sconforto, esiste la confusione, ma non esiste l’abbandono. Se rappresenti ciò che Dio vuole dire sulla Terra non puoi pensare di fare come gli altri, perché non sei come gli altri. Martire vuol dire “testimone”, ovvero colui che accetta la sofferenza e testimonia la sua fede attraverso di questa, diventando insieme esempio e guida.
Se pure Cristo, sulla croce, chiede a Dio “Perché mi hai abbandonato?” è comunque morto seguendo la volontà di Dio e per la salvezza degli uomini. Se credi in questi principi di base non puoi tirarti indietro, altrimenti non hai fede.
Clemente VII era il Papa, e ha fatto le scelte che doveva fare il Papa, ha pagato quando c’era da pagare, si è piegato, ha fatto politica, ma ha salvato i suoi fedeli, non ha lasciato da sola la sua chiesa, che è la “comunità dei convocati” ovvero un insieme di persone che sono chiamate a credere in qualcosa, l’ha guidata nei limiti delle sue possibilità e non ha mai detto a chi lo guardava “Non ce la posso fare”.
E non bisogna confondere ciò che è umanamente possibile da ciò che siamo realmente in grado di fare come singoli, perché Dio non dà mai un peso e una sofferenza che non siamo in grado di sopportare, se abbiamo fede.
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