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Salone del Libro 2017 – cronache torinesi


Udite udite, quest’anno sono andata, per la prima volta, al Salone del Libro di Torino, per festeggiare i suoi primi trent’anni e il mio primo di disoccupazione.

Ho quindi impiegato il mio molto tempo libero per bighellonare tra gli stand di editori famelici, evitare illustratori che mi avrebbero disegnato pure addosso, scavalcare studenti di ogni ordine e grado che attuavano manovre diversive per scappare dalla cultura che li rincorreva, ma soprattutto mi sono divertita un sacco.

Eppure non è stata tutta rose e fiori, ho avuto anche io le mie difficoltà di adattamento, già dal primo momento. Sono infatti partita come dovessi fare lo sbarco in Normandia in febbraio, grazie alle previsioni del tempo che indicavano un repentino abbassamento della temperatura, piogge e tempeste. Avevo solo maglie di lana e scarpe invernali, e mi sono trovata nel bel mezzo della stagione estiva, con gente in costume al Parco del Valentino e il clima equatoriale nel Salone.

A questo disagio si è affiancato l’imprevedibile: la ricerca del laccetto perduto del pass. In una sorta di contrappasso dantesco, io che per anni mi sono occupata di pass stampa, ricevo un badge che non è tagliato a misura per la taschina trasparente che lo dovrebbe contenere e non è fornito del cordoncino che per sua stessa natura lo completa.

Ho quindi svolto le ricerche del caso e superato questo momento critico sostituendo il loro laccettino con l’acquisto compulsivo di un ciondolo con il logo di Superman e annessa catenina che non solo ha sostituito brillantemente il loro poliestere dal fondo bianco, ma mi ha dato un senso apotropaico di protezione che ha migliorato di molto le mie prestazioni emotive.

Forte quindi dell’appoggio di Superman, ho navigato nel mare magnum degli incontri che si accavallavano come onde di un mare in tempesta per due giorni di fila ascoltando cose che conoscevo e imparandone di nuove fino ad avere un mal di piedi di livello apocalittico.

Ma non mi è bastata tutta la cultura del Salone, ho approfittato di questo viaggio per approfondire la mia conoscenza di Torino, così diversa da Roma, e non proseguo sui commenti per non scadere in banali e facili polemiche.

Per la gioia dei miei piedi, il tour ha compreso cinque musei:

  1. il Museo di Criminologia, perché non potevo andarmene da Torino senza aver verificato l’altezza del mitico Cesare Lombroso, che accoglie i visitatori in forma di scheletro esposto all’ingresso,

  2. il Museo della Frutta, sul pianerottolo di fronte, che raccoglie la raccolta di frutti finti così belli da sembrare veri realizzati nell’Ottocento da Francesco Garnier Valletti, un tipo talmente livoroso da non voler comunicare a nessuno la formula segreta con cui realizzava le sue creazioni, salvo lasciarla scritta nei suoi appunti ritrovati successivamente alla morte,

  3. il museo del Cinema, ma senza il giro sull’ascensore trasparente per il mio noto problema con il vuoto e con la folla, due elementi fondanti della gita fino alla cima della Mole,

  4. il Museo Egizio rinnovato di direttore e allestimento, che però ho visto con una guida che ha definito i romani “UN PO’ PAZZI” perché avevano assorbito una parte della cultura egiziana nel periodo del loro dominio, e gli schiavi “AIUTANTI”, come se tra le classi sociali egiziane ci fosse la voce “piccoli aiutanti di Babbo Natale”.

  5. il museo del Risorgimento, ufficialmente perché volevo approfondire la mia conoscenza di un periodo storico importante per la coscienza stessa degli italiani, ma in realtà perché ha la sala del Plebiscito, bellissima di suo, con delle tele di dimensioni mastodontiche.

Per la gioia del mio palato invece, superato l’hot dog del Salone, che andava mangiato per devozione visto che mi era stato descritto come una presenza fissa della manifestazione, ho gustato e assaggiato piatti conosciuti e sconosciuti tra cui cito :

  1. I tramezzini del Caffè Mulassano. Si narra che qui sia nato il termine tramezzino, mentre D’Annunzio, che certe volte sembra abbia battezzato qualsiasi cosa in Italia, mordicchia questi paninetti di pane in cassetta farciti divinamente.

  2. Acciughe, burro e verde, ovvero salsa verde, accompagnate da crostini, mi ci sono fatta il bagno per quante ne ho mangiate

  3. I Tajalin, ovvero i tagliolini, fatti con 36 uova e sottili, sottili, sottili…

  4. I grissini, buoni tutti, ma anche qui la mia passione è per quelli sottili, sottili, sottili…

  5. La Creme Caramel del pastificio De Filippis, poesia

  6. Il Bonet, una creme caramel al cioccolato e amaretto, da provare sempre

  7. Le meringhe con la panna. Non serve dire altro.

Ho quindi scoperto che loro non mettono il sugo di cottura sul roastbeef, cosa che a Roma non si può sentire, mentre non sono andata a prendere il bicerin  per il problema del caldo che ho citato sopra, ma spero di rifarmi in una stagione più propizia, anche per il cioccolato.


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