Non vorrei farvelo notare, ma fa caldo perché è giugno, d’estate è normale.
Però a Roma, per rispettare il tema “qui è tutto di più” quando fa caldo non fa caldo: “si schiuma”, un modo di dire gergale per indicare le temperature che vengono ritenute “eccessive” e che si abbattono sulla città.
Grazie a questo caldo, l’asfalto diventa come il viale delle celebrità di Hollywood dove le star lasciano le proprie orme e anche il cittadino normale può rimanere col piede bloccato nel marciapiede fuso e lasciare un segno di sé ai posteri, se riesce a liberarsi.
Gli omini della pioggia, ovvero quelli che spuntano dalle pozzanghere con i loro ombrellini da 5 euro, si riciclano e propongo ai turisti colorati ombrellini “Made in China” che richiamano quelli in miniatura dei cocktail e che vengono trapassati dai raggio del sole come da un raggio laser appena aperti.
Il gelato diventa l’alimento principale, meglio se biologico, organico, con prodotti selezionati e di stagione, senza latte, con vaniglia del Madagascar, pistacchio di Bronte e panna montata al momento.
Purtroppo i venditori di meloni e cocomeri si stanno riducendo, come le “grattachecche” attive soprattutto di notte, mentre segnalo che si stanno timidamente affacciando anche dei “gelati su stecco”, ovvero con la forma dei ghiaccioli ma fatti con le creme, che devono essere immersi nel cioccolato prima di essere serviti per regalare una nuova esperienza calorica.
Le fontane assumono un aspetto così invitante per l’immersione dei piedi, bolliti dal problema dell’asfalto segnalato prima, ma non possono essere usate per pediluvi estemporanei perché sarebbero fuori luogo e fuori decenza, quindi ribadiscono l’inadeguatezza dell’architettura rispetto alle esigenze del contemporaneo.
L’aria condizionata, nei negozi e negli uffici prima che nelle case, diventa un campo di battaglia tra i puristi, che la vogliono accesa sempre a palla di cannone, e i delicati, che si ammalano per lo sbalzo di temperatura tra “dentro e fuori”, che non sopportano il rumore dei motori e ribadiscono che i filtri vanno puliti prima di accenderla.
I mezzi pubblici, già solitamente luoghi di acerrima amarezza, diventano anche piccole bombe batteriologiche che portano in giro per la città effluvi mefitici a prova di qualsiasi deodorante e umori rissosi che peggiorano con l’aumentare del caldo.
E anche se qualcuno dice che gli bastano i parchi della città, la costa, il mare, da Fregene e Sperlonga, diventano l’unico pensiero del romano medio, che organizza i suoi weekend per stare a quattro di bastoni su un lettino, con le onde del mare in sottofondo, l’odore degli spaghetti alle vongole nell’aria misto a quello della crema abbronzante che gli regalerà un dolce color mogano aiutato da qualche lampada infrasettimanale.
Non importa che per arrivarci debba fare tre ore di traffico per un tragitto che richiede trenta minuti, che non riesca a trovare parcheggio, che l’acqua da vicino assuma un color fango un po’ allarmante, il “sapore di sale”, che si trova pure sul bordo del bicchiere del mojto preso al tramonto nell’aperitivo del locale di turno sulla spiaggia dimostra che il caldo a Roma, alla fine, ha anche un suo perché.
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