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Le cose perfide dell’inverno: il cappello


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E’ arrivato il Generale Inverno, per quanto abbiamo cercato di fare i vaghi alla fine ci ha raggiunto ed è entrato in casa con le sue solite maniere brusche. Ha portato brividini, mani e nasi gelati ed un notevole desiderio di cioccolata calda. Ma ha anche portato l’esigenza di coprirsi a strati sembrando più grassi di tre taglie, il desiderio di cachemire a partire dalle calze, ed il vero grande problema di temperature così basse: la necessità del cappello.

Che sia a falda larga, panama o modello sacchetto della spesa di lana, non lascia scampo a nessuno. C’è poco da fare, il cappello non sta bene a tutti, anzi, sta bene a pochissimi. E’ fatto o per persone bruttissime o per persone bellissime, quelli carini sono sistematicamente penalizzati.

I brutti hanno il beneficio di veder coperta la bruttezza, i belli riescono a vedere esaltati i pregi che li rendono, appunto belli. Invece se si è carini bisogna farsene una ragione: non esiste un copricapo che protegga dal freddo e metta in evidenza solo alcuni lati positivi del volto, sono fatti apposta per far vedere la faccia troppo tonda, gli occhiali spessi, la pelle pallida e le rughe pure se non si hanno.

Una volta coperta la testa, si entra in un viaggio mistico dove per il caldo paghiamo con la dignità e ci troviamo a sbirciare intorno per vedere se ci sono persone che ci fissano con pietà o se ci sono sventurati combinati peggio di noi.

L’unico modo, infatti, per sopravvivere all’umiliazione di andare in giro con un cappello di lana, è quello di guardare gli altri e cercare quello che ha un copricapo più ridicolo del nostro. So che potrebbe sembrare un progetto irrealizzabile quando vi date un’occhiata uscendo di casa, ma vi assicuro che c’è sempre qualcuno che ha avuto più sfortuna di voi.

Soprattutto se prendete i mezzi pubblici, sono una fonte inesauribile di soddisfazioni, sia perché potete guardare fuori, i passanti, sia per i viaggiatori come voi, che a volte riescono ad esprimere un gusto dell’orrido che neanche il Grinch nei suoi tempi migliori.

Così oggi ho potuto ammirare dal finestrino una signora con venti chili di più che aveva deciso di vestirsi da meringa, o da pupazzo di neve, o pensava che a Roma avrebbe nevicato e si sarebbe potuta mimetizzare meglio, visto che era totalmente bianca. Dal cappello alla borsa passando per il piumino lungo, camminava impettita sul grigio del marciapiede incurante di una verità assoluta: “il bianco ingrassa” che nel suo caso era comunque superflua. Per un attimo mi sono chiesta se avesse qualcuno a casa che l’aveva vista uscire abbigliata in quel modo ed ho sperato di no, perché o era una persona con quella stessa visione della vita o le voleva chiaramente male per non impedirle di fare un gesto così scellerato.

Questa signora mi avrebbe già di per sé soddisfatto, ma proprio mentre mi sistemavo l’inutile cappellino fatto di lana grossa che fa passare gli spifferi e che quindi non solo trasforma l’insieme dei miei capelli in una sorta di scodella triste quando me lo levo, ma neanche mi scalda a dovere, ho avuto la visione perfetta.

Ce l’avevo davanti eppure non lo avevo focalizzato, concentrata com’ero sulla mia disperazione, poi è stato come illuminato da un raggio divino. A pochi passi da me, un signore sui cinquant’anni, cappotto e pantaloni scuri, scarpe marroni con calzino come il cappotto, cartellina in spalla e un fantastico, meraviglioso, cappello di lana rosso e giallo con Snoopy che pattina e pon pon anch’esso giallo. Lo portava con disinvoltura calcato talmente tanto sulla fronte che gli arrivava alle sopracciglia.

Per un attimo ho pensato ad uno scherzo, mi sono guardata attorno nel tram semivuoto, ma c’ero solo io a fissare questo miracolo: uno con un cappello talmente brutto che sarei stata a posto per i prossimi dieci inverni.

Non posso esprimere la piccola euforia che mi ha pervaso, il desiderio di andare a stringergli la mano e dirgli che era un benefattore dell’umanità, perché come aveva risollevato me dallo sconforto deve averlo fatto con tante altre persone. Purtroppo la mia ammirazione del miracolo è stata infranta dall’arrivo della fermata, come gli arcobaleni, anche questo è durato solo pochi secondi.

Eppure non mi sono arresa subito, ho visto il pon pon che si perdeva allegro tra la folla, rapido come una foglia nel vento, ho cercato di seguirlo ancora un po’ per stargli vicino e godere di quel riflesso di bruttezza che mi avrebbe fatto da scudo contro lo sguardo degli altri, ma poi ho capito che era giusto che andasse, aveva assolto il suo compito, mi aveva donato un po’ di speranza, ho avuto la prova che è vero: non bisogna avere paura, anche impegnandosi, c’è sempre qualcuno con cappello più brutto del tuo.

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