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I drammi della vita: la sbornia triste


Ho tanti difetti: sono ansiosa, irritabile, precisina, a volte saccente, ma quello che tutti mi rinfacciano, quello che condiziona in modo determinante la mia vita sociale e mi impedisce a volte di partecipare a momenti epici è: che sono astemia. Non mi piace bere, non mi piacciono i vini, le grappe, i cocktail, gli amari e i liquori in generale.

Al bar bevo, oltre ai succhi di frutta, la Coca Cola, il bitter bianco e quando la trovo, con molta soddisfazione, la Spuma.

E’ un difetto che rasenta l’handicap, perché se sei astemio una serie di cose ti sono precluse. Se non bevi alcolici e superalcolici non puoi, per esempio, passare una serata al “Pratello”. Ovvero uno dei quartieri giovani di Bologna. E questo l’ho provato sulla mia pelle.

Ho un’amica carissima che mi ha ospitato un paio di giorni e che mi ha fatto visitare la città. Naturalmente il tour comprendeva la vita notturna, quindi il giro dei posti frequentati da lei. Ottobre, serata tiepida, dopocena, gruppo di trentenni. Mi porta al centro di Bologna, davanti a questa lunga strada in ciottoli che non sono sanpietrini, ma sono scomodi allo stesso modo per camminarci.

Una strada stretta e pedonale piena di locali piccoli e affollati. Iniziamo a passeggiare e ci fermiamo nel primo posto. Qui si entra, ci si siede e si ordina. Vino bianco, vino rosso, vino rosso, Coca-Cola. Secondo voi di chi era la Coca-Cola? I miei amici non fanno commenti, si beve (io si fa per dire), si mangia un po’ di robetta che portano, si decide dopo mezz’ora che è il caso di spostarsi per raggiungere altre persone.

Si ricomincia a camminare, dopo un po’ incontriamo altre due ragazze, chiacchiere, si entra in un altro locale. Vino bianco, vino rosso, vino rosso, negroni, spritz, succo di pera. Indovinate chi ha vinto il succo di pera? Le sconosciute mi guardano un po’ schifate, i miei amici sono rassegnati. Si chiacchiera ancora e dopo circa un’oretta, dopo un altro giro di ordinazioni che comprende una bottiglia di rosso e un bicchiere di minerale per me, si riesce.

Si ricomincia a camminare. Il gruppo si divide. La mia amica decide di passare in una strada vicina per vedere se incontra altri vecchi amici. Arriviamo in un bar dove non ci si siede, si deve ordinare al bancone, e lei incontra altri vecchi amici, non quelli che cercava, ma pure questi andavano bene lo stesso. Questi sono molto più gentili, insistono per offrire da bere. Io starei a posto, come dire, tra poco potrei avere bisogno seriamente di un bagno per tutto quello che ho bevuto, i liquidi non si comprimono e come entrano devono uscire…ma insistono.

Insistono con quel calore tipicamente bolognese a cui non puoi dire di no, perché sarebbe come non voler accettare di entrare in casa, non sedersi alla loro tavola, rifiutare un regalo. Quindi guardo la mia amica, che ha già un bicchiere di vino rosso in mano, sarà stato il sesto, compresa la cena, che mi sorride sperando che questa sia la volta buona. Guardo lei poi il bicchiere. Non ce la faccio. Non ho sete. Un’altra Coca Cola? Un altro succo? Altra acqua? Poi mi esce come un singulto: “Cioccolata”. Il barista mi guarda con un sorriso sornione, è mezzanotte e io mi bevo una cioccolata.

Vuoi fare bei sogni? “ mi chiede, io gli rispondo “Con panna”.

Voi mi direte, ma allora, se proprio ci soffri, potresti almeno far finta, ordini un bicchiere di vino bianco e te lo fai durare la serata. Ho attuato anche questa strategia, ma il problema è che la gente ti guarda il bicchiere. Non sto scherzando, se sei seduta ad un tavolo, i tuoi commensali controllano sempre se e quanto bevi per paragonarlo a quanto bevono loro e dopo la prima mezz’ora in cui hai fatto scendere il livello del vino di due millimetri non possono fare a meno di chiederti “Ma non ti piace?”. E tu vai a spiegare che no, non ti piace e lo fai solo per non sentirti meno sfigata del solito.

Allora ho iniziato a berlo un po’ la volta, ma mangiandoci abbondantemente sopra. Boccone, sorso, boccone, sorso, boccone, boccone, maledizione mentale e sorso. Ed ho scoperto che il problema non è solo che non mi piace, ma anche che ho l’ubriacatura triste. Quindi è un dato di fatto: sono maledetta.

Per quello che so esistono due tipi di sbronza prima di perdere i sensi: quella allegra, che ti fa liberare dei freni inibitori, ti rende simpatico, ti fa piacere tutto, e quella triste, che ti fa venire una malinconia profonda, di fa schifare la tua vita, ti intontisce, ammutolisce e fa venire sonno. Ebbene, la seconda è la mia.

Non credevo fosse possibile, invece è così, e ne ho pagato delle conseguenze amarissime. Mi ha fatto perdere l’occasione della vita.

Ero ad una cena elettorale. Gente un po’ di tutti i tipi, non ricordo come ci fossi finita. Mi trovo seduta a fianco ad un amico che aveva deciso di rimorchiarsi la sua vicina e davanti ad una ragazza che diceva di fare la presentatrice televisiva in un’emittente privata che non faceva altro che ripetere quanto fosse tutto “meraviglioso”.

Alla mia sinistra e a sinistra della presentatrice due posti vuoti. Iniziamo a mangiare e all’improvviso arrivano due tipi. Uno carino ma vestito malissimo, sui quarantacinque, biondo con occhi azzurri, dei jeans per me orribili ed una giacca di pelle beige tipo El Charro, con delle rose stampate e qualcosa scritto sulla schiena, una roba anni ottanta che mi metteva i brividi. Lui si siede di fronte a me e vicino alla “ragazza meraviglia”. L’altro era l’equivalente di un cinghiale, credo che basti come definizione. Ci si saluta e ci si presenta, ma sinceramente non mi sembrano tutta questa intelligenza. Intanto portano del vino bianco che dicono essere dolce. Io vedo quello che ho intorno, i due che già hanno vuotato il bicchiere, e dico “perché no?”, così butto giù il primo sorso.

La serata va avanti e vedo che la ragazza socializza con il biondo, lui dice di avere dei negozi, io sinceramente lo classifico come “imprenditore locale che non fa mancare la sua partecipazione civile”. E butto giù un altro sorso. Sono a metà bicchiere e sento che mi gira la testa, ma soprattutto mi viene la famosa cupezza. Continuano a parlare intorno a me che ho spento il microfono. La sbronza triste è arrivata. Non ho voglia di parlare, mi appoggio su una mano ed ascolto questi sfigati che parlano. Il biondo ad un certo punto invita sia me sia la mia dirimpettaia ad una festa sulla sua barca che si svolgerà il giorno successivo. Me lo guardo sospirando ed alzo il sopracciglio, poi decido che forse è meglio rispondere “che peccato sarò fuori per lavoro” e non “ ma neanche se mi azzoppi”.

La serata finisce che io avrò detto tre parole, sono depressa, odio tutti i presenti e odio la mia vita. Due giorni dopo sono a pranzo con un mio amico e parliamo del più e del meno, esce fuori l’argomento sbornia triste e io racconto la mia serata. Dico il nome del tipo biondo e lui mi spiega una cosa che non sapevo: il tipo biondo ha venduto la sua azienda per 120 milioni di euro ed ora ne ha aperta un’altra.

Io ero a tavola, dirimpettaia a cena, con il “Signor 120 milioni di euro” e l’ho trattato come “il Signor giacca di letame”. Io ero a tavola con il “Signor 120 milioni di euro” che mi ha invitata alla sua festa in barca ed ho alzato il sopracciglio. Io ero a tavola con “Signor 120 milioni di euro” e sono stata simpatica come un tovagliolo macchiato.

A quest’ora potrei essere la “Signora 120 milioni di euro” e invece … avevo bevuto.

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