Oggi sono andata a pranzo con una delle mie amiche che mi leggono con più assiduità e mi ha chiesto quando ho fatto l’ultimo pezzo. Mia madre mi ha chiesto quando faccio il prossimo pezzo d’arte. E’ una settimana che non scrivo una riga. Io sospiro leggermente e inizio a spiegare con tono pacato che è un momento difficile, che sono sommersa dagli impegni, ma vorrei solo alzare le braccia al cielo e urlare: C’HO DA FA’!
E si, perché, signori miei, tenetevi forte, ecco la notizia bomba: l’ho trovata! Ci ho messo tre mesi, svariate badilate di sudore e sangue, incontri allucinanti con personaggi improbabili, ma alla fine ho trovato la mia casetta. Quindi sono occupata a portare valigie avanti e indietro, a passare la pezzetta per la polvere, a cercare la tenda della doccia e a svolgere migliaia di altre attività assolutamente necessarie e indispensabili. La sera mi stendo sul mio nuovo divano e rimango priva di forze, inebetita a guardare una tv che ha i sottotitoli del televideo che non si tolgono. Ma non fa niente, tanto sono priva di sensi.
Credo che la stanchezza dipenda non solo dalle novità, dal cambio dei ritmi, dagli spostamenti, ma soprattutto dalle scale, perché la mia casetta nuova è quella che negli annunci definiscono una “occasione da amatori”. Ovvero non si presenta come una casa normale, con le stanze allo stesso livello, bensì è costruita come quella che un mio amico ha definito la famosa “casa a castello”. E’ un insieme disposti in verticale di due soppalchi e una camera, tutto unito da una scala a chiocciola. Detto così può sembrare un po’ caotico, ma nell’insieme funziona, ve lo garantisco.
Quindi per me, che ho notoriamente la fisicità di un bradipo addormentato, salire e scendere in continuazione è comunque un nuovo stress fisico che devo smaltire, anche se penso a quanto rassoda.
Un altro piccolo inconveniente è che in pratica la casa possiede una sorta di schermo deflettore, tipo quello della nave spaziale Star Trek, che impedisce l’accesso a qualsiasi operatore di telefonia mobile. In poche parole: il cellulare non prende da nessuna parte. E non solo il mio, ho fatto venire vari amici e parenti con i loro rispettivi cellulari e diversi operatori, abbiamo fatto svariate prove nei diversi punti della casa, ma non c’è niente da fare, è come se fosse la porta per un’altra dimensione.
Quindi io passo il tempo nell’unico angolo dove passano, come la risacca, due tacche di Tim, ovvero su un punto specifico delle scale, a chiacchierare con tutti quelli che decidono di chiamarmi per parlare della casa nuova. Quando esco per strada vengo inondata di decine di messaggi di amici che mi ha cercato, di gente che chiedeva qualche risposta che avrei dovuto dare la sera prima, o che mi invitava ad appuntamenti ormai persi.
Inoltre non ho il wifi, e questa è la tragedia vera. Il mio adorato i-pad non ha più senso senza una rete. Sta là, che mi fissa, e sembra parlarmi e dirmi: chissà quante notifiche di Facebook ti stai perdendo, chissà quanti follower ti stanno scaricando su twitter perché non dici niente di interessante. Sento quasi la vocina che dice “Connettimi, connettimi!” E quindi finisco sul divano a dormicchiare anche per questo: per dimenticare che sono fuori dai social network.
Sorvolo sul fatto che in pratica non ci sono finestre né armadi, tutti piccoli disagi che sono compensati dal grande, immenso pregio: la posizione. Pieno centro storico di Roma, certo, per arrivare all’appartamento devi attraversare svariati cortili e portoni, e ti ritrovi in un ennesimo cortile grigio e senza sole circondato da palazzi, ma una volta che hai attraversato al contrario il percorso sei in un posto splendido e soprattutto a vicino dal lavoro.
Da qualche giorno, infatti, mi sveglio ben trenta minuti più tardi, questo si riflette sulla qualità della mia vita che ha fatto un salto in avanti di trilioni. Sono sicura che la grana della mia pelle migliorerà a vista d’occhio e anche il colorito, aiutato da pomeriggi passati al sole dell’Isola Tiberina, ne trarrà grande giovamento.
Certo, qui il gelato costa tre euro e il tema della spazzatura differenziata è gestito con spirito ai limiti del nazismo, se ti beccano che butti una scatoletta di tonno vuota tra il non riciclabile mi hanno detto che sarai costretto a subire punizioni inimmaginabili, però è una casetta con i soffitti alla mia altezza, il divano alla mia lunghezza, ed il frigo della dimensione giusta per farmelo riempire del numero perfetto di schifezze che potrò smaltire salendo e scendendo le scale.
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