La verità è come l’idea: non esiste. È quello che mi viene da pensare quando rifletto sugli aneddoti che sento e che racconto. Soprattutto che racconto. Ammetto infatti di essere, come quasi tutti, molto portata all’aumento della spettacolarità degli episodi più o meno simpatici che mi succedono nel quotidiano, e questo blog ne è un esempio. Ma non mi sono mai soffermata ad analizza le tecniche e i metodi che potrebbero rendere un aneddoto asfittico e grigio un momento di narrativa degno di un incontro con un unicorno. Di seguito cercherò di riempire questa lacuna.
Quando si racconta qualcosa di drammatico, un’avventura in cui si è rischiata la vita ma si è sopravvissuti, è molto utile aggiungere elementi atmosferici ostili, come la pioggia o il vento, mentre l’inserimento di un senso di urgenza può essere ottenuto con un orologio rotto o un cellulare scarico, mancanze che ci separano dal mondo e rinchiudono in una bolla atemporale dove non è più possibile verificare il tempo che passa.
I racconti gioiosi, che hanno un finale a sorpresa molto positivo, devono necessariamente essere incentrati sui colori, più oggetti colorati si inseriscono nella trama più la scenografia mentale assume una forza emotiva d’impatto. Il cielo non ha nuvole e gli uccellini cantano, le sollecitazioni olfattive, poi, aiutano a rendere l’ambiente empatico se si evocano profumi di biscotti o cannella. Anche la citazione di un Babbo Natale che viene a trovarvi o assiste alla scena aiuta moltissimo.
Le storie tragiche invece, ovvero quelle che finiscono con una chiusura definitiva di una situazione, la perdita di un oggetto, l’irrimediabile cambiamento in peggio di una situazione, trovano giovamento nell’inserimento di cupi personaggi che si muovono nell’ombra, come i vicini di casa o il postino, che sai che si aggirano intorno a casa tua perché lasciano sempre qualche traccia, ma non li vedi mai. Anche il benzinaio, visto il costo della benzina, assume un aspetto sinistro che può funzionare.
Se l’aneddoto è legato alla salute è importante la dovizia di particolari. Si deve sempre specificare ogni piccola caratteristica dell’accaduto, dall’orario agli spostamenti, ma soprattutto i sintomi. Questi sono centrali nella narrazione, eppure vanno dosati con cautela, l’eccessiva specificità potrebbe distrarre l’ascoltatore, che potrebbe iniziare a pensare alla sua, di salute, e quindi perdere interesse.
Anche i viaggi sono insidiosi perché richiedono un astuto equilibrio tra eventi e curiosità, tra stupore e conferme. In più bisogna sempre calibrare la lunghezza, perché rischiano di essere o troppo lunghi o troppo corti. E non inserite mai troppi personaggi, che portano confusione. Mentre lo spazio da dare ai compagni di viaggio varia a seconda della posizione che hanno nella nostra vita e ci espone a giudizi sulla nostra relazione. Se non parliamo mai di loro potremmo sembrare insensibili, se ne parliamo troppo insicuri o appiccicosi.
Gli aneddoti condivisi con gli amici, ovvero che non hanno solo noi come protagonisti ma anche altri che conosciamo, non ci devono intimidire, anche in questi possiamo raccontare la “nostra verità”, perché sarà sempre la migliore e la più spettacolare. Per questo suggerisco di non fare mia i timidi, anzi, di caricare soprattutto in questi casi, perché saranno oggetto dell’effetto “palla di cannone”. Anche gli amici racconteranno la loro versione, e questa crescerà, crescerà, crescerà, come una palla di cannone che, come diceva Rossini, ad un certo punto esploderà (cfr. vi dono il testo completo de “La calunnia è un venticello” in calce a questo pezzo).
Ma il vero tocco di classe rimane sempre l’inserimento di un elemento folle, che vi permetterà di essere ricordati per l’originalità e la faccia tosta, due qualità che sono alla base di qualsiasi successo. Per questo vi esorto ad abbandonare ogni remora e a inserire un drago nella vostra storia, perché niente è più versatile dei draghi, forse solo i serial killer e le galline possono avvicinarsi alla loro capacità mimetica nelle narrazioni.
Ricordate che le storie coi draghi vincono sempre e voi non dovete avere paura di vincere.
N.B. Il quadro è di Laurina Paperina http://www.laurinapaperina.com/
Il Barbiere di Siviglia: Atto I – ‘La calunnia e un venticello’ – Gioachino Rossini
La calunnia è un venticello, un’auretta assai gentile che insensibile, sottile, leggermente, dolcemente incomincia a sussurrar. Piano piano, terra terra, sottovoce, sibilando, va scorrendo, va ronzando; nelle orecchie della gente s’introduce destramente e le teste ed i cervelli fa stordire e fa gonfiar. Dalla bocca fuori uscendo lo schiamazzo va crescendo prende forza a poco a poco, vola già di loco in loco; sembra il tuono, la tempesta che nel sen della foresta va fischiando, brontolando e ti fa d’orror gelar. Alla fin trabocca e scoppia, si propaga, si raddoppia e produce un’esplosione come un colpo di cannone, un tremuoto, un temporale, un tumulto generale, che fa l’aria rimbombar. E il meschino calunniato, avvilito, calpestato, sotto il pubblico flagello per gran sorte ha crepar.
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