
Chichkine racconta un inverno fatto del bianco della neve e dello scuro della corteccia degli alberi, dove la terra e il cielo si fondono in un’atmosfera rarefatta dal freddo. Gli alberi caduti sembrano i corpi addormentati di giganti mentre il tempo è immobile come l’aria.
E’ difficile parlare di una composizione che non racconta molto, a parte un’immagine di assoluta sospensione. Guardiamo questo paesaggio invernale, questo bosco selvaggio e immobile e ci sembra di stare sul bordo di un mondo che esiste, ma solo e sempre assolutamente lontano da noi.
La nostra finestra non si apre su questo inverno, se ci giriamo a guardare fuori magari vediamo degli altri palazzi, o strade, o il mare. Pochi sono quelli che possono vivere in questo paesaggio, anche perché non è fatto per essere vissuto, ma per ammirato di sfuggita. Non ci si può fermare più di tanto perché sappiamo di non poterne fare parte.
Non è un mondo che deve ospitare l’uomo, sembrano dirlo proprio gli alberi caduti, metafora di un tempo che passa inesorabile al di là della nostra volontà. E sembra dirlo la neve immacolata, non toccata neanche dal vento, che si posa sulla natura come una coperta, nasconde i colori, la vita, ma non li soffoca, semplicemente li aiuta a riposare.
Ed ecco la bellezza di quello che vediamo, un mondo che riposa placido e sereno, dove il freddo e l’immobilità convivono per creare un momento di quiete immutabile che desidereremmo qualche volta anche noi.
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