Fa bene guardare qualcosa di bello. Anche quando è bello e terribile. Una nave che lotta contro la furia del mare contiene insieme la mistica audacia della lotta contro un avversario più forte e la dolce speranza di vederne la vittoria.
Ivan Konstantinovič Ajvazovskij, nel suo dipinto “Nave nel mare in tempesta” realizza a metà dell’Ottocento una marina che racconta un dramma romantico: la lotta dell’uomo contro la natura, e forse anche contro le avversità della vita.
Lo fa con una perizia tecnica che quasi porta a perdere il senso della drammaticità della scena, perché l’occhio si smarrisce tra la perfezione pallida delle onde, nei riflessi della spuma e dell’acqua, mentre sembra quasi di sentire il rumore del vento che muove il mare e le grida degli uccelli che combattono, anche loro, per restare in aria.
Mare e cielo che si fondono tra nuvole e onde, in un movimento costante e furioso, al centro del quale la nave si piega, cercando di mantenere un equilibrio che nasce dalla sua capacità di non farsi sopraffare da nessuno dei due elementi.
Così, nella composizione interviene anche il fascino della potenza dei fenomeni naturali di fronte ai quali l’uomo può solo fermarsi ad ammirare, assaporando la propria impotenza come una conferma della propria finitudine.
In questo spettacolo, gli uomini non si vedono, eppure ci sono, nella piccola barca che lotta contro gli elementi per rimanere sulla linea dell’orizzonte, anche se questa linea si muove, come tutto il resto, ma sembra diretta verso la parte peggiore della tempesta, quella più buia e minacciosa.
Ajvazovskij ci propone quindi il momento più drammatico, quello in cui la natura sta per prevalere ed inghiottire la nave, eppure riesce a costruire ancora l’idea della lotta, la nave non è ancora sconfitta, ancora c’è speranza, deve solo sopravvivere alla furia del mare, che non può essere eterna.
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